Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento 
                           (Sezione Unica) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 19 del 2013, proposto  da:  A.L.,  rappresentato  e
difeso dall'avv. Filippo Fedrizzi, nel  cui  studio  in  Trento,  via
Roggia Grande n. 16, e' pure elettivamente domiciliato; 
    Contro Amministrazione dell'Interno - Commissario del Governo per
la Provincia Autonoma di Trento e Questore della Provincia di  Trento
in  persona  del  Ministro  pro  tempore,  rappresentata   e   difesa
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, nei cui uffici  in  Trento,
largo Porta Nuova n. 9, e' pure per legge domiciliata; 
    Per l'annullamento del decreto  di  data  19  novembre  2012  del
Commissariato del Governo per la Provincia di Trento,  notificato  al
ricorrente il 4 gennaio 2013, con il  quale  e'  stato  rigettato  il
ricorso gerarchico volto ad ottenere l'annullamento del provvedimento
20 giugno 2012 - Cat. A.11.2012/52/Imm. del Questore della  Provincia
di Trento, con il quale, a sua volta, e' stata rigettata  la  domanda
di rinnovo del permesso di soggiorno  presentata  dal  ricorrente  in
data 30  dicembre  2011,  nonche'  di  tutti  gli  atti  antecedenti,
conseguenti e comunque logicamente connessi al  detto  provvedimento,
ivi  compreso  il  predetto   decreto   20   giugno   2012   -   Cat.
A.11.2012/52/Imm. del Questore della Provincia di Trento; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'Interno; 
    Ritenuta la propria giurisdizione e competenza; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 52, decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, commi
1 e 2; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  16  dicembre  2013  il
Cons.  Paolo  Devigili  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
 
                           Fatto e Diritto 
 
    1. Il sig. L.A.,  di  nazionalita'  marocchina  e,  a  suo  dire,
residente  dall'anno  2000  in  Italia,  ove  ha   svolto   attivita'
lavorativa dall'anno 2004,  ha  richiesto  il  30  dicembre  2011  il
rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione. 
    2. L'istanza e' stata respinta dal Questore  della  Provincia  di
Trento con provvedimento di data 20 giugno 2012  e,  successivamente,
il Commissario del Governo della Provincia di Trento ha rigettato  il
ricorso  gerarchico  interposto   dall'interessato,   essendo   stata
accertata la violazione della normativa penale vigente in materia  di
stupefacenti. 
    Nel corso del procedimento di rinnovo e' infatti emerso che,  nei
confronti dell'interessato, imputato del reato di cui agli  artt.  81
del C.P. e 73, comma 1 e 1-bis, del D.P.R. n. 309/1990, il G.U.P. del
Tribunale  di  Trento,  con  sentenza  del  19  gennaio  2012,  aveva
applicato, ex art. 444 C.P.P.,  la  pena  di  mesi  cinque  e  giorni
quindici di reclusione ed € 1350 di multa. 
    L'autorita' amministrativa ha motivato il diniego  rilevando  che
la domanda di rinnovo si poneva in contrasto con gli artt.  4,  comma
3, e 5, del decreto legislativo n. 286/1998, secondo il cui combinato
disposto il permesso di soggiorno, od il rinnovo, sono  rifiutati  al
cittadino extracomunitario che risulti condannato,  anche  a  seguito
dell'applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del
C.P.P., per i reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2  del  C.P.P.,
ovvero per i reati elencati dal medesimo art. 4,  comma  3  (fra  cui
rientrano quelli inerenti gli stupefacenti). 
    Nel provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico, a sua volta,
il Commissario del  Governo,  a  supporto  del  proprio  rigetto,  ha
riportato l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui, nella materia
in esame, sentenza di condanna penale, o la pronuncia del Giudice  da
ritenersi equipollente,  e'  considerata  ostativa  al  rilascio  del
permesso di soggiorno, o  al  suo  rinnovo,  senza  che  occorra  una
specifica  valutazione  di  pericolosita'  sociale  del   condannato,
essendo "tale valutazione legittimamente operata in via  diretta  dal
legislatore". 
    3. I provvedimenti sono impugnati con il presente ricorso  per  i
seguenti motivi: 
      3a. Con il primo motivo il ricorrente osserva che  la  condanna
(ovvero l'applicazione della pena su richiesta) e' stata inflitta per
il meno grave delitto di cui al comma 5, dell'art. 73 del Testo Unico
in materia di disciplina degli  stupefacenti  di  cui  al  D.P.R.  n.
309/1990, e che quindi il  reato  non  rientra  fra  quelli  previsti
dall'art. 380 del C.P.P, ma nel  novero  di  quelli  individuati  dal
successivo art. 381, per i quali  (comma  4)  e'  previsto  l'arresto
facoltativo in  flagranza,  peraltro  subordinato  al  riscontro  dei
presupposti della gravita' del fatto, ovvero dalla pericolosita'  del
soggetto desunta dalla  sua  personalita'  o  dalle  circostanze  del
fatto. 
    Cio'  premesso,  parte  ricorrente  -  lamentando  l'assenza   di
adeguata motivazione su detti profili  -  richiama  espressamente,  a
suffragio della censura interposta, il tenore  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 172 di data 6 luglio 2012. 
    Con detta pronuncia e' stata dichiarata, in riferimento  all'art.
3 Cost. l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1-ter,  comma  13,
lettera c), del decreto legge n. 78/2009, introdotto dalla  legge  di
conversione n. 102/2009. Detta norma disponeva che non possono essere
ammessi alla procedura di emersione i lavoratori extracomunitari "che
risultano condannati, anche con  sentenza  non  definitiva,  compresa
quella pronunciata anche a seguito  di  applicazione  della  pena  su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del Codice di procedura penale,  per
uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo Codice". 
    La disposizione riportata e' stata dichiarata  illegittima  nella
parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto  dell'istanza  di
regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia  nei
suoi confronti di una sentenza di condanna anche per  uno  dei  reati
per i quali l'art.  381  C.P.P.  consente  l'arresto  facoltativo  in
flagranza, senza prevedere l'onere della pubblica amministrazione  di
accertare che il  medesimo  soggetto  rappresenti  una  minaccia  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
    La prima censura si risolve, dunque, nella mancata estensione  al
caso di specie, in via analogica, dei principi enucleati al  riguardo
dalla  Corte   costituzionale   in   materia   ritenuta   affine,   o
alternativamente,  come  rilevato  in   successiva   memoria,   nella
questione di legittimita' costituzionale, ex art. 3  Cost.  dell'art.
4,   comma   3,   del   decreto   legislativo   n.   286/1998,    per
l'irragionevolmente identico  trattamento  "espulsivo"  applicato  da
tale norma sia agli stranieri condannati per reati  per  i  quali  e'
previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, sia a quelli condannati
per reati assai meno gravi, per i quali  l'arresto  in  flagranza  di
reato e' soltanto facoltativo. 
      3b. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione
dell'art. 5, comma  5,  del  decreto  legislativo  n.  286/1998,  sul
rilievo che l'amministrazione , nel denegare il rinnovo del permesso,
avrebbe trascurato di esaminare sopraggiunti "nuovi elementi" tali da
consentirne il rilascio, individuati nel recente  reperimento  di  un
occupazione lavorativa e nella presenza di vincoli  asseritamente  di
carattere familiare. 
    Quanto alla valenza di questi ultimi, il ricorrente  richiama  la
piu' recente sentenza della  Corte  costituzionale,  n.  202  del  18
luglio 2013,  con  cui  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita',  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 29,  30  e  31  della  Costituzione,
dell'art. 5, comma 5, del  decreto  legislativo  n.  286/1998,  nella
parte in cui la norma prevede che  la  valutazione  discrezionale  in
esso  prevista,  rimessa  alla   amministrazione   in   ordine   alla
sussistenza di congrui presupposti, si applichi solo  allo  straniero
che ha esercitato il diritto  al  ricongiungimento  familiare,  o  al
familiare ricongiunto, e non anche allo straniero  che  abbia  legami
familiari nel territorio dello Stato. 
    4. Si e' costituita in giudizio  l'Amministrazione  dell'Interno,
contestando la fondatezza del ricorso ed instando per il suo  rigetto
anche   in   forza   di   molteplici   precedenti   giurisprudenziali
confermativi, in presenza di  condanne  penali  riportate  per  reati
previsti dagli artt. 380 e 381 del  C.P.P.,  della  legittimita'  del
conseguente ed automatico diniego al  rilascio,  o  al  rinnovo,  del
permesso di soggiorno. 
    5. Con Ordinanza n. 28 di data 7/8  marzo  2013  il  Collegio  ha
accolto la domanda  incidentale  di  sospensione  dell'efficacia  dei
provvedimenti impugnati. 
    6. All'udienza pubblica del 16 gennaio 2013  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    7. Riassunta nei termini che precedono la fattispecie  in  esame,
il Collegio ritiene che sussistano i presupposti per  rimettere  alla
Corte costituzionale la valutazione della legittimita' costituzionale
dell'art. 4, comma 3, e dell'art. 5, comma 5, del decreto legislativo
n. 286/1998, nella parte in cui prevedono che il diniego  al  rinnovo
del permesso di soggiorno consegua automaticamente alla pronuncia  di
una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all'art.  381
del  Cod.  proc.  pen.,  senza  che  sia  consentito  alla   pubblica
Amministrazione di valutare caso per caso, in relazione alle  singole
fattispecie, gli interessi coinvolti e, in particolare, di  accertare
la pericolosita' o meno del cittadino extracomunitario  in  relazione
ai valori primari dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. 
    8. In punto di rilevanza, valgano le osservazioni che vengono qui
di seguito esposte: 
      8a. Questo  Tribunale  reputa,  preliminarmente,  infondato  il
secondo motivo del gravame prospettato dal ricorrente. 
    Per un primo profilo, e' da escludere, nel  caso  di  specie,  la
rilevanza e la significativita' dei  legami  personali  palesati  dal
ricorrente che, in  assenza  di  un  dimostrato  e  stabile  rapporto
affettivo ed in assenza di figli, non puo'  avvalersi  della  "tutela
rafforzata" di cui alla seconda  parte  dell'art.  5,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286/1998. 
    Detta norma, introducendo una deroga all'automatismo del  diniego
al rinnovo del permesso  di  soggiorno  in  conseguenza  di  condanne
riportate per determinati reati, onera la pubblica Amministrazione di
ponderare e delibare anche  l'esistenza  e  l'intensita'  dei  legami
familiari che lo straniero conserva nel territorio nazionale. 
    Tuttavia, pur dopo la sentenza sopra richiamata  della  Corte  n.
202 del 18 luglio 2013, la tutela dei rapporti familiari e' riservata
all'esistenza e alla cura di un effettivo "nucleo" familiare,  e  non
appare estensibile alle  ipotesi  di  mera  presenza  nel  territorio
nazionale di parenti, per di piu' - come nel caso  di  specie  -  non
conviventi con l'interessato. 
    Quanto all'ulteriore aspetto  dedotto  nel  medesimo  motivo,  va
ritenuto che il reperimento di un' occupazione lavorativa  non  possa
costituire  l'autonomo  sopravvenire  di   "nuovi   elementi",   come
astrattamente previsti nella prima parte dell'art. 5,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286/1998, idonei a cancellare di per  se'  gli
effetti della riportata sentenza penale di condanna, proprio  perche'
a quest'ultima, nell'attuale sistema legislativo vigente in  tema  di
immigrazione,  consegue  direttamente  l'automatico   diniego   della
domanda di rinnovo del permesso di soggiorno. 
      8b. Il Collegio non ritiene neppure, allo stato, di aderire  ad
un recente,  pur  qualificato,  orientamento  proveniente  da  alcuni
giudici amministrativi di primo grado (TAR Toscana n. 1979/2012;  TAR
Lombardia - Brescia, n. 115/2013) - cui peraltro non  aderisce  altro
autorevole insegnamento (Cons. di Stato, n. 2225/2013; TAR Umbria, n.
350/2012) - che ha ritenuto di poter applicare "analogicamente"  alle
norme qui in esame specifico gli effetti della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 172/2012. 
    Il Collegio rileva, infatti, che da detta pronuncia e'  derivata,
con i soli effetti propri dell'art. 136 Cost.  e  della  prima  parte
dell'art.  27,  della  legge   n.   87/1953,   la   declaratoria   di
incostituzionalita' dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c),  del  d.l.
n. 78/2009, convertito con modificazioni  nella  legge  n.  102/2009,
concernendo dunque il solo profilo della regolarizzazione  lavorativa
del cittadino extracomunitario che presta attivita'  lavorativa,  sia
pur irregolare, nel mentre non viene investita la  normativa  dettata
dal legislatore in materia di rinnovo in via ordinaria  del  permesso
di soggiorno, oggetto del presente giudizio. 
    Stante la diversita' dei contesti normativi,  non  appare  dunque
corretto, alla luce dell'art. 27, della legge n. 87/1953, ritenere la
possibilita' del Giudice di ricorrere all'interpretazione  estensiva,
secondo  un  criterio  analogico,  di  una   sentenza   della   Corte
dichiarativa della illegittimita' di un'a specifica norma, al fine di
incidere, in tal maniera, su  una  norma  diversa,  contenuta  in  un
separato  provvedimento  legislativo,  la  cui  vigenza  e'  tutt'ora
sussistente in termini tali da regolare in via esclusiva, allo stato,
la fattispecie in esame. 
    D'altra  parte,  il  contrasto  fra  gli   opposti   orientamenti
giurisprudenziali    espressi     dai     Giudici     amministrativi,
rispettivamente a favore e contro il ricorso all'analogia sul profilo
in questione, rappresenta  ulteriore  elemento,  quanto  meno,  della
"problematicita'" di detta operazione logico-giuridica. 
      8c.  Peraltro,  il  Collegio  non  reputa  neppure   di   poter
valorizzare, ai fini della decisione del  ricorso,  la  affermazione,
meramente accennata nelle premesse del  decreto  del  Questore  della
provincia di Trento, secondo cui si  denoterebbe,  nel  comportamento
assunto dal ricorrente, la mancanza  di  rispetto  delle  regole  del
paese  ospitante  e  l'assenza  della  volonta'  di  inserimento  nel
contesto sociale. Emerge, infatti, dal medesimo atto, pur ponendo  in
disparte la genericita' di detto stringato profilo motivazionale, che
l'autorita'   amministrativa   ha    espressamente    tratto    detta
"valutazione", in via esclusiva, dal mero riscontro  della  pronuncia
della sentenza di condanna penale riportata. In alcuna considerazione
valutativa,  tanto  meno  specifica,  sono  reperiti  gli   effettivi
connotati di quest'ultima, od  ulteriori  eventuali  profili  diversi
dalla  commissione  del   reato,   autonomamente   rivelatori   della
pericolosita',  o  meno,  del  ricorrente,  come   desumibili   dalla
personalita' del soggetto, dalle circostanze,  modalita'  e  gravita'
del fatto contestato, dall'esistenza o meno di rilevanti  precedenti,
dal periodo di tempo gia' trascorso dall'interessato  nel  territorio
nazionale, o comunque da ogni altro congruo indice rivelatore. 
    9. In conclusione, nel caso di specie, la  condanna  inflitta  al
ricorrente dal  Giudice  penale  risulta  preclusiva  ai  fini  della
concessione del rinnovo del  permesso  di  soggiorno,  pur  dovendosi
ricondurre la stessa all'art. 381 e  non  all'art.  380  del  C.P.P..
Detta preclusione opera legislativamente in maniera automatica,  come
prevedono gli articoli  4,  comma  3,  e  5,  comma  5,  del  decreto
legislativo n. 286/1998, in quanto derivante da condanna  "per  reati
inerenti gli stupefacenti", senza che  residuino  margini  valutativi
discrezionali in capo alla pubblica Amministrazione.  In  conseguenza
di quanto precede il ricorso andrebbe respinto. 
    10. Questo Tribunale potrebbe  pero'  pervenire  all'accoglimento
del gravame, in esclusivo riferimento al  primo  motivo  dedotto  dal
ricorrente, qualora le sopracitate norme legislative vigenti in  tema
di   rinnovo   del   permesso   di   soggiorno   fossero   dichiarate
costituzionalmente illegittime. In tal caso, infatti,  verrebbe  meno
il meccanismo di automaticita' tra condanna e  diniego,  in  base  al
quale l'Amministrazione ha adottato l'atto impugnato. 
    11. In proposito il Collegio dubita della costituzionalita' degli
art. 4, comma 3, e art.  5,  comma  5,  del  decreto  legislativo  n.
286/1998, con riferimento all'art. 3 Cost., nella  parte  in  cui  le
predette disposizioni  riconnettono  automaticamente  il  diniego  di
rinnovo del permesso di  soggiorno  alla  condanna  penale  (compresa
quella adottata ex art. 444 C.P.P.) anche per reati per  i  quali  e'
previsto l'arresto facoltativo in flagranza, ex  art.  381  del  Cod.
proc. pen., ponendo legislativamente, per i pari effetti "espulsivi",
sull'identico piano di disvalore dette condanne con quelle  riportate
per reati piu' gravi, in cui l'arresto in flagranza e' previsto  come
obbligatorio ex art. 380  C.P.P.,  senza  al  contempo  imporre  alla
pubblica  amministrazione  l'onere  di  valutare   in   concreto   la
pericolosita' sociale del cittadino extracomunitario, con riguardo ad
una sua condizione complessiva, che non si esaurisca direttamente nel
dato  penale,  ma   innesti   quest'ultimo   su   altre   circostanze
"compensative", quali la condotta successiva, la situazione familiare
e l'inserimento ed apprezzamento sociale. 
    11.a. In  primo  luogo,  sono  i  connotati  propri  della  (pur)
riportata sentenza di condanna penale inflitta al  ricorrente  a  far
emergere, in  maniera  qualificata,  la  non  manifesta  infondatezza
costituzionale  della  questione  prospettata,  non  potendosi  certo
sottovalutare, per le finalita'  della  presente  ordinanza,  ne'  la
rilevanza del caso concreto in se' considerato, ne' il fatto  che  il
medesimo, lungi dal costituire una fattispecie del tutto singolare ed
isolata, appare rappresentativo di una problematica estesa ad una non
esigua casistica, traducendosi dunque  in  un  effettivo  profilo  di
giustizia sostanziale e sociale. 
    Sul punto va osservato che il Giudice penale  ha  pronunciato  la
sentenza  di  condanna  al  cospetto  della  disciplina  fissata  dal
legislatore all'art. 73, del D.P.R. n. 309/1990  (Testo  Unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), e dunque in presenza delle seguenti norme: 
      A) Il primo comma, il quale punisce la produzione, il  traffico
e la detenzione di sostanze stupefacenti con la pena della reclusione
da sei a venti anni e con la multa da € 26.000 ad € 260.000. 
      B) Il quinto comma, i1  quale  stabilisce  che,  quando  per  i
mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione  ovvero  per  la
qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti  previsti  dal  medesimo
articolo sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione
da uno a sei anni e della multa da € 3.000 ad € 6.000. 
    Va osservato che detta ultima  disposizione  non  costituisce  un
mero "indice" per la  eventuale  concessione  da  parte  del  Giudice
penale delle attenuanti generiche:  essa  non  si  limita  infatti  a
prevedere una diminuzione frazionata della pena prevista dal comma 1,
ma stabilisce separatamente ed autonomamente, in misura  visibilmente
inferiore, nel minimo e nel massimo, la pena edittale. 
    Non sembra inconferente, al  riguardo,  rammentare  che,  con  il
recentissimo decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146  ("Misure  urgenti
in tema  di  tutela  dei  diritti  fondamentali  dei  detenuti  e  di
riduzione controllata della popolazione carceraria"), il  legislatore
e' nuovamente intervenuto nella disciplina penale degli stupefacenti,
sostituendo il comma 5, dell'art.  73,  del  D.P.R.  n.  309/1990,  e
stabilendo, nelle ipotesi di lieve entita' (art.  2),  una  nuova  ed
inferiore previsione  del  massimo  della  pena  edittale  (5  anni),
talche' detta disposizione pare accentuare il "distacco"  legislativo
(gia' visibilmente sussistente in precedenza) rispetto  alle  ipotesi
in cui, diversamente, l'offensivita' penale permane in termini  gravi
o comunque ragguardevoli, posto che per tali  differenti  fattispecie
il legislatore prevede una pena edittale  pari,  nel  minimo,  a  sei
anni. 
    Peraltro, al riscontro della "lieve entita'", il  legislatore  fa
conseguire l'esclusione della condanna dal novero  dei  reati  per  i
quali e' prescritto l'arresto obbligatorio in flagranza,  cosi'  come
espressamente dispone il secondo comma, lettera h), dell'art. 380 del
cod. proc. pen. 
    Nel caso di specie il Giudice penale, attingendo motivatamente da
una   molteplicita'    di    qualificati    profili    normativi    e
giurisprudenziali, ha riconosciuto la sussistenza del "fatto di lieve
entita'" previsto dall'art. 5, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990, oltre
ad  applicare  le  circostanze  attenuanti  generiche  e  a  valutare
positivamente  la  sussistenza  dei  requisiti   richiesti   per   la
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    Giova infatti osservare che il fondarsi della figura della "lieve
entita'" e' stato espressamente riconosciuto dal Giudice penale: 
      A) in applicazione dei criteri (mezzi, modalita' o  circostanze
dell'azione, qualita' e quantita' delle sostanze) stabiliti dall'art.
73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990,  pur  avendo  il  giudicante  al
contempo aderito alla rigorosa interpretazione  (Cass.  penale,  Sez.
Unite, 21 giugno 2000, n.  17),  secondo  cui  il  riconoscimento  va
circoscritto  alle  ipotesi  di  "minima  offensivita'  penale",   in
relazione all'interesse sociale sotteso alla normativa di settore; 
      B) in considerazione della normativa contenuta nel decreto  del
Ministero della Salute di data  11  aprile  2006.  Quest'ultimo,  nel
fissare la "quantita' massima detenibile" di  sostanze  stupefacenti,
ha fatto riferimento, per  alcune  di  esse,  ad  un  "moltiplicatore
variabile" della "dose media singola",  in  relazione  al  potere  di
indurre alterazioni  comportamentali  e  scadimento  delle  capacita'
psicomotorie. Per le sostanze meno pericolose il "moltiplicatore", e'
stato calcolato in termini piu' ampi, assegnando  cosi'  una  diversa
valenza qualitativa alle stesse. In particolare, per i derivati della
"cannabis" viene riconosciuta  una  minore  pericolosita',  tanto  da
utilizzarsi il  moltiplicatore  "20"  (in  dettaglio  voci  40  e  41
dell'allegato 1); 
      C)  in  riferimento  al  modesto   quantitativo   (42   grammi)
dell'hashish fatto oggetto di commercio. 
    La concessione del beneficio della sospensione condizionale della
pena e' derivata dal formulato  giudizio  prognostico  favorevole  in
ordine alla  probabile  astensione  dalla  commissione  di  ulteriori
reati. 
    11b. Cio' posto,  passando  alla  disamina  della  normativa  che
regola il diniego del  rilascio,  o  del  rinnovo,  del  permesso  di
soggiorno dei cittadini  extracomunitari,  va  rilevato  che  nessuna
differenziazione viene reperita dal legislatore, in materia di  reati
inerenti  gli  stupefacenti,  fra  le  sentenze  di  condanna  penale
pronunciate in  forza  dell'art.  73,  primo  comma,  del  D.P.R.  n.
309/1990,  e  quelle  inflitte  "per  fatti  di  lieve  entita'"   in
applicazione del quinto comma della stessa norma. 
    Di conseguenza, in subiecta  materia,  neppure  e'  colta,  dalla
norma, alcuna  distinzione  fra  i  reati  che  rendono  obbligatorio
l'arresto in flagranza (art. 380 C.P.P.) e quelli che ne ammettono la
mera facoltativita' in presenza dei previsti presupposti (art. 381). 
    Infatti, la disciplina legislativa inerente il diniego al rinnovo
del  permesso  di  soggiorno  risulta  unitariamente  "assorbita"  in
categorie di reato come delineate, e spesso appena  "abbozzate"  (nel
caso di specie: "reati inerenti  gli  stupefacenti"),  nella  seconda
parte  del  comma  3,  dell'art.  4,  del  D.P.R.  n.  286/1998,  con
contestuale ed automatica "assegnazione" indifferenziata alle  stesse
dell'identica e gravissima conseguenza "espulsiva" per  il  cittadino
extracomunitario. 
    11c. Ne' puo' sottacersi,  sui  profili  che  precedono,  che  la
disciplina vigente in tema di diniego  al  rinnovo  del  permesso  di
soggiorno richiama in maniera precipua, comunque significativa com'e'
facile avvedersi dalla mera lettura dell'art. 4, comma 3,  del  Testo
Unico sull'immigrazione, le categorie  e  le  definizioni  giuridiche
prefissate  dal  legislatore  penale:  queste  ultime  paiono  dunque
assumere il carattere di presupposto  sistematico  indispensabile  ai
fini  dell'applicazione  e  dell'interpretazione   della   disciplina
"espulsiva" prevista dal decreto legislativo n. 286/1998. 
    Tuttavia, il complesso delle norme penali di  riferimento,  e  le
sue connotazioni e graduazioni, risulta in maniera contraddittoria  e
comunque incoerente, abbandonato, o comunque disatteso, dalle  stesse
norme che, in materia  di  diniego  del  permesso  di  soggiorno,  le
assumono quale proprio presupposto. 
    In  effetti  va  riscontrato  che   il   T.U.   sull'immigrazione
assoggetta alla unitaria disciplina "espulsiva" figure di  reato  non
solo   oggettivamente   e   soggettivamente   diverse,    ma    anche
caratterizzate, internamente, da una ben differente qualificazione  e
graduazione giuridica, da ritenersi, a propria volta, non casuale  ma
riflesso di una ponderata scelta legislativa inerente la  valutazione
della distinta gravita' e pericolosita' dei fatti. 
    A fronte di quanto precede, non pare  sufficiente  obiettare  che
cio' troverebbe giustificazione nelle  diverse  finalita'  perseguite
dal  legislatore,  apparendo  viceversa  preminente   assicurare   un
complessivo quadro normativo unitario, ispirato ai  principi  di  non
contraddittorieta', coerenza, ragionevolezza e congruita'. 
    11.d Peraltro, in tale ambito,  il  richiamo  alle  norme  penali
contenuto  nel  T.U.  sull'immigrazione,  non  pare   neppure   poter
prescindere dal "diritto vivente", creato dal Giudice  attraverso  la
concreta applicazione delle norme penali, sostanziali e  processuali,
alle singole fattispecie concrete. 
    In specifico va rilevato che, se tale diritto vivente pone su una
scala di disvalori ben differenziati le diverse ipotesi di violazione
delle disposizioni sugli stupefacenti, appare contraddittorio che  la
normativa vigente in materia di immigrazione possa  prescinderne,  ed
al  contempo  appare  altresi'  illogico  e  discriminatorio  che  la
pubblica Amministrazione, chiamata a valutare e delibare l'istanza di
rinnovo del permesso di soggiorno, non possa a  propria  volta  tener
conto di quella stessa e graduata scala di riferimento. 
    12. Viene dunque in evidenza,  ai  fini  dell'odierna  rimessione
alla Corte, la comparazione delle norme legislative vigenti  in  tema
di diniego al rinnovo del permesso di  soggiorno  con  l'art.  3  del
Dettato costituzionale e dell'inerente  principio  di  uguaglianza  e
ragionevolezza. 
    13. In materia di immigrazione ed in relazione all'art. 3  Cost.,
la Corte ha rammentato che la regolamentazione  dell'ingresso  e  del
soggiorno dello straniero nel territorio nazionale e' collegata  alla
ponderazione di svariati interessi pubblici, quali,  ad  esempio,  la
sicurezza e la sanita' pubblica,  l'ordine  pubblico,  i  vincoli  di
carattere  internazionale  e,la  politica  nazionale   in   tema   di
immigrazione; tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore
ordinario, il quale possiede, in materia, un'ampia  discrezionalita',
limitata, sotto il profilo della conformita' a Costituzione, soltanto
dal  vincolo  che  le  sue  scelte   non   risultino   manifestamente
irragionevoli (sentenze 16 maggio 2008, n.  148;  n.  206/2006  e  n.
62/1994). 
    14. Non difforme appare l'insegnamento  proveniente  dalla  Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo,  che  ha  precisato,  nell'ambito  del
bilanciamento  tra  sicurezza  /  ordine  pubblico  e  diritti  dello
straniero,  che  l'ingerenza  dello  Stato  deve  non  solo  aver   a
riferimento una base legale ed uno scopo legittimo, ma  anche  essere
necessaria in una societa' democratica, vale a dire  giustificata  da
un bisogno sociale imperativo e dalla proporzionalita' rispetto  allo
scopo perseguito (Dalia c. Francia, sentenza 19 febbraio 1998; Maslov
contro Austria, sentenza 23 giugno 2008). 
    15.  Peraltro,  e'  stato  pure   affermato   che   l'automatismo
espulsivo,   riflesso   della   pur   riconosciuta   discrezionalita'
legislativa, e' destinato ad incontrare i limiti segnati dai precetti
costituzionali e, per essere in armonia con l'art. 3  Cost.,  occorre
che esso sia conforme a criteri di intrinseca  ragionevolezza  (Corte
Cost., n. 206/2006 e n. 62/1994). 
    16. E' derivata, quale corollario, l'affermazione  del  principio
secondo cui  le  presunzioni  assolute,  specie  quando  limitano  un
diritto  fondamentale  della  persona,  violano   il   principio   di
uguaglianza,  se  sono  arbitrarie  ed  irrazionali,  cioe'  se   non
rispondono a dati di  esperienza  generali  riassunti  nella  formula
dell'id quod plerumque accidit; sussistendo l'irragionevolezza  della
presunzione assoluta tutte le volte  in  cui  sia  agevole  formulare
ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione  posta  a
base della presunzione (Corte Cost., n. 231  e  164/2011;  n.  265  e
139/2010). 
    17. Il Collegio, certo, non ignora che, con sentenza n. 148/2008,
la  stessa  Corte  ha  dichiarato  non  fondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame in  relazione
al diniego al rinnovo del permesso, operato dall'Amministrazione  nei
confronti di un cittadino extracomunitario che risultava  condannato,
sia pur a seguito di patteggiamento e  con  sospensione  condizionale
della pena, per un reato in materia di stupefacenti ex art. 73, comma
5, del D.P.R. n. 309/1990, benche' non emergesse; in concreto, alcuna
valutazione circa la pericolosita' del condannato. 
    18. Tuttavia, preme  rilevare  che,  successivamente,  e'  venuta
progressivamente ad affermarsi, in generale, una tutela  "rafforzata"
dello "statuto" del soggetto extracomunitario (sentenza n. 202 del 18
luglio 2013). Con la stessa pronuncia, al contempo, si e'  provveduto
ad un  ulteriore  e  significativo  approfondimento  in  ordine  alla
valenza  delle  presunzioni  assolute  e  generalizzate  fissate  dal
legislatore in tema di pericolosita', delimitando e contenendo  detto
automatismo  in   termini   di   ragionevolezza   costituzionale,   e
coordinando  le  norme  dettate  dal  legislatore   in   materia   di
immigrazione con l'inquadramento e le differenziazioni stabilite  dal
legislatore in materia penale. 
    E' dunque nel solco di tale linea evolutiva  che  si  colloca  la
ricordata sentenza n. 172  del  6  luglio  2012,  con  cui  la  Corte
costituzionale ha dichiarato, sempre in riferimento  all'art.  3,  la
illegittimita' dell'art. 1-ter, comma 13,  lettera  c),  del  decreto
legge 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di conversione  3
agosto 2009, n. 102, il quale  disponeva  che  non  potessero  essere
ammessi alla procedura di emersione da rapporti irregolari,  prevista
da detta disposizione, i lavoratori extracomunitari  che  risultavano
condannati per uno dei reati previsti dagli articoli 380  e  381  del
Codice di procedura penale. 
    La Corte, comparando  detta  disposizione  con  il  principio  di
uguaglianza  fissato  nell'art.  3,   e'   pervenuta   ad   affermare
l'irragionevolezza della  norma,  in  quanto  il  diniego  conseguiva
automaticamente dalla pronuncia di una sentenza di condanna anche per
uno dei reati di cui all'art. 381 del  codice  di  procedura  penale,
nonostante questi ultimi non siano necessariamente sintomatici  della
pericolosita' di colui che li ha commessi,  senza  prevedere  che  la
pubblica amministrazione provvedesse  ad  accertare  che  la  persona
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico e la  sicurezza  dello
Stato. 
    In tale ambito, la  Corte  ha  significativamente  rilevato  che,
essendo possibile procedere per detti reati all'arresto in  flagranza
soltanto   se   la   misura   e'    giustificata    dalla    gravita'
dell'accadimento, ovvero dalla  pericolosita'  del  soggetto  desunta
dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto (art. 381, comma
4, cod. proc. pen.), e' gia'  l'applicabilita'  di  detta  misura  ad
essere subordinata ad una specifica valutazione di elementi ulteriori
rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione  del
fatto. 
    19. Il Collegio  rileva  che  l'avvenuta  affermazione  di  detti
principi, ferma come gia' detto - la non applicabilita' degli  stessi
in via analogica alle diverse disposizioni qui in esame e, dunque, al
caso di specie, evidenzia, in termini di non manifesta  infondatezza,
profili di illegittimita' costituzionale anche  delle  norme  di  cui
agli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n.  286,  nella  parte  in  cui  anch'esse  riconnettono
automaticamente alla condanna penale, riportata  per  uno  dei  reati
previsti dall'art. 381 del Codice di procedura penale, il diniego  di
rinnovo del pregresso permesso di soggiorno, senza prevedere  che  la
pubblica amministrazione  provveda  ad  accertare  che  il  cittadino
extracomunitario rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o  la
sicurezza dello Stato. 
    20. Pare  evidente,  infatti,  che  i  principi  stabiliti  nella
predetta sentenza n. 172/ 2012 appaiono riferibili anche  alle  norme
che regolano il rinnovo del permesso di soggiorno, nella parte in cui
queste prevedono il diniego automatico in mera presenza  di  condanne
penali riportate  dal  cittadino  extracomunitario  anche  per  reati
esclusi dal novero di quelli per i quali (art.  380  del  cod.  proc.
peri.) il legislatore prescrive l'arresto obbligatorio. 
    21. L'affermazione dei surriferiti principi e' calzante anche per
i reati concernenti le sostanze stupefacenti, atteso che  pure  detta
materia e' espressamente assoggettata alla  differenziazione  fissata
dal legislatore negli articoli 380 e  381  del  Codice  di  procedura
penale, e cio' - per di piu' - in forza di una specifica disposizione
(art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990) concernente i reati in materia
di  stupefacenti,  tenuti  distinti  da  quelli,  assai  piu'  gravi,
previsti negli altri commi del medesimo articolo. 
    22. Peraltro, la riferibilita' dei principi fissati nella  citata
sentenza della Corte alle pur  diverse  norme  qui  in  osservazione,
trova ulteriore conferma nel  rilievo  secondo  cui  il  rinnovo  del
permesso  di  soggiorno  e'  destinato  a  trovare  applicazione  nei
confronti  di  un  cittadino  extracomunitario  gia'   legittimamente
presente nel territorio nazionale anche da un non esiguo  periodo  di
tempo, similmente, dunque, alla condizione in cui detto cittadino  si
trovi all'atto  della  richiesta  di  regolarizzazione  prevista  dal
decreto legge n. 78/2009. 
    A  tal  riguardo,  non  pare  ostativo  al  rilevato  profilo  di
incostituzionalita' il fatto che la sentenza n. 172/2012, riferendosi
alle ipotesi di emersione dal lavoro irregolare, evidenzi essa stessa
una  diversita'  di  situazioni,  legittimante  una   diversita'   di
discipline giuridiche. Infatti, non paiono diverse le  condizioni  di
chi si trovi (rectius: si sia  trovato)  in  Italia  come  lavoratore
irregolare e di chi  vi  si  trovi  sulla  base  di  precedenti  atti
autorizzatori regolarmente rilasciati: quest'ultimo, sotto un profilo
razionale, meriterebbe semmai maggior tutela rispetto al primo. 
    23. A tale  ultimo  proposito,  il  Collegio  non  puo'  esimersi
dall'osservare ulteriormente che la legittimita' delle vigenti  norme
in materia di rinnovo del permesso di soggiorno,  al  cospetto  della
sentenza  della  Corte  n.  172/2012,  parrebbe  comportare  una  non
immediata e ragionevole comprensibilita' e coerenza nelle ipotesi, da
ritenersi non straordinarie, in cui  il  cittadino  extracomunitario,
appena "emerso" nell'ambito della procedura  di  regolarizzazione  in
virtu' della non autosufficienza della sentenza penale  di  condanna,
si trovi poi ad essere allontanato dal territorio nazionale, in  sede
di rinnovo del  permesso  di  soggiorno,  forza  dell'autosufficienza
della medesima condanna. 
    Per le  ragioni  dianzi  esposte,  questo  Tribunale  solleva  la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 3, e
5, comma 5, del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,  in
relazione all'art. 3 della Costituzione, nella  parte  in  cui  fanno
derivare automaticamente  il  rigetto  dell'istanza  di  rinnovo  del
permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario dalla pronuncia,
nei suoi confronti, di una sentenza di condanna per uno dei reati per
i quali l'art. 381 del cod. proc. pen. prevede l'arresto  facoltativo
in  flagranza,  senza  consentire  che  la  pubblica  amministrazione
provveda ad accertare che il medesimo rappresenti  una  minaccia  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
    Il presente giudizio va quindi sospeso in attesa della  decisione
della Corte costituzionale; ogni ulteriore statuizione in  rito,  nel
merito e in ordine alle spese del giudizio riservata  alla  decisione
definitiva.